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CRESME - L'INDUSTRIA ITALIANA PAGA I COSTI ENERGETICI PIU' ALTI DELL'AREA EURO

Le vicende più recenti hanno evidenziato quanto il fattore energia sia divenuto centrale nella definizione dei livelli di competitività di imprese e territori. Strategie di investimento mirate a ottimizzare l’utilizzo delle risorse e ridurre gli sprechi sono poste oggi al centro dell’agenda politica.
Si fa sempre più strada, quindi, la consapevolezza che le politiche energetiche e le strategie di investimento debbano essere orientate non solo alla sostenibilità ambientale ma anche alla creazione di valore economico e sociale, favorendo un modello di sviluppo che sia competitivo e resiliente.

Il costo dell’energia – Quanto detto vale a maggior ragione in un contesto internazionale in cui il costo dell’energia è fortemente disomogeneo; politiche energetiche sbagliate, scarsa diversificazione, dipendenza da produttori esteri e servizi di fornitura poco trasparenti hanno determinato le forti divergenze che osserviamo oggi.

Nell’ultimo biennio, se si guarda il costo medio dell’energia elettrica per usi produttivi, l’Italia si è collocata su un livello nettamente superiore agli altri grandi paesi dell’area euro; nel 2022, il prezzo medio per kwh è stato superiore a 35 centesimi di euro, quasi dieci centesimi in più di quanto le attività produttive hanno pagato in Spagna e in Germania, venti centesimi in più rispetto alle imprese francesi. Le cose non cambiano, nella sostanza, se dal computo si escludono IVA e accise, sebbene la distanza tra l’Italia e i suoi partner europei si riduca. Anche nella media del 2023, passato il periodo dell’impennata dei corsi energetici, il costo dell’energia nel nostro Paese si è confermato il più elevato (29 centesimi per kwh).

Questa differenza tra l’Italia e gli altri paesi può essere attribuita a diversi fattori, tra cui una maggiore dipendenza dalle importazioni di gas, infrastrutture energetiche meno efficienti e una minore diversificazione delle fonti. Anche le politiche energetiche nazionali hanno avuto un impatto; in Italia, la pressione fiscale e le accise tendono a essere più elevate, mentre gli incentivi per le rinnovabili, pur essendo necessari per migliorare la sostenibilità del sistema produttivo, incidono sulle dinamiche dei prezzi a breve termine.

Impatto sull’attività manifatturiera – Le dinamiche “estreme” del costo dell’energia osservate nell’ultimo biennio hanno avuto un impatto sul settore manifatturiero e sull’economia dei singoli paesi. Germania, Italia, Francia e Spagna possiedono un sistema produttivo fortemente incentrato sull’industria, con molte imprese orientate all’export e impegnate a mantenere o aumentare la propria presenza sui mercati internazionali. Considerando l’insieme della attività produttive industriali, escludendo il settore della raffinazione petrolifera e includendo il settore delle costruzioni, tra 2021 e 2022 l’incidenza dei costi energetici sull’output lordo è aumentata rapidamente in tutti i paesi. L’Italia, tuttavia, è il paese che ha visto crescere maggiormente il peso della componente energetica, che è passato dal 3,3% del valore della produzione nel 2021 al 4,1% nel 2022. In sostanza, numeri alla mano, nella media del 2022 le imprese italiane hanno sostenuto i costi energetici più elevati, più delle imprese tedesche, che misurano un’incidenza del 3,7%, e molto più di quelle francesi (incidenza del 3,3%).

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Fonte: Cresme

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